In molte malattie neuromuscolari, come nelle Distrofie Miotoniche, le alterazioni cardiache sono la principale causa di morte nei pazienti che ne sono affetti. E’ infatti ormai universalmente accettato che nella Distrofia Miotonica di tipo 1 (DM1), la morte cardiaca improvvisa è la principale causa di morte.
Ma cosa si sa sulla Distrofia Miotonica di tipo 2 (DM2)?
Ad oggi gli studi volti all’identificazione del rischio cardiovascolare nei pazienti DM2 sono ancora molto pochi, rendendolo un argomento ancora inesplorato. La DM2, infatti, a differenza della DM1, è una malattia “scoperta” recentemente, ancora più rara della DM1 e difficilmente diagnosticabile. Questi fattori limitano notevolmente la possibilità di studi approfonditi su grossi numeri di pazienti.
Recentemente è stato pubblicato un lavoro dal Dott. Peric del gruppo di ricerca della Serbia, in cui le complicanze cardiovascolari sono state studiate in 62 pazienti affetti da DM2 che sono stati sottoposti a elettrocardiogramma e ecocardiografia. I risultati, pubblicati su una rivista internazionale in un lavoro dal titolo “Heart involvement in patients with myotonic dystrophy type 2”, hanno evidenziato che il 42% di questi pazienti è affetto da ipertensione. Inoltre circa il 20% è affetto da bradicardia, mentre altri disordini del ritmo cardiaco sono presenti con una frequenza estrememamente minore. Di questi 62 pazienti, solo uno di loro aveva subito l’impianto di un dispositivo pacemaker. L’analisi ecocardiografica ha invece mostrato che in circa il 44% dei pazienti è presente una disfunzione diastolica del ventricolo sinistro, mentre disfunzioni sistoliche sono presenti solo nel 4%. Il 18% dei pazienti mostra segni di cardiomiopatia, di cui alcuni dilatativa.
Questo studio è uno dei pochi in cui sono stati raccolti i dati cardiovascolari relativi ad un numero elevato di pazienti DM2 e ha messo in luce che anche in questi pazienti, così come nella DM1, è necessario effettuare periodicamente test di screening tramite elettrocardiogramma ed ecocardiografia per valutare la compromissione cardiovascolare e valutare eventuali approcci terapeutici per migliorare la qualità di vita di questi pazienti.
Qui è possibile trovare il testo completo dell’articolo: https://link.springer.com/content/pdf/10.1007%2Fs13760-018-1052-3.pdf
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